Queste, com’è noto, sono basate sull’effetto termoelettronico, scoperto da Thomas Edison in una notte del mese di marzo dell’anno 1884. Il celebre inventore stava indagando sulle cause dell’annerimento della superficie interna dell’ampolla di vetro, contenente, sotto vuoto spinto, i filamenti delle lampade ad incandescenza da lui inventate, nonché sulle cause della rottura dei filamenti stessi.
Edison provò a disporre all’interno dell’ampolla, di fronte al filamento, una lamina metallica con possibilità di un suo collegamento elettrico dall’esterno dell’ampolla, e, con grande meraviglia, notò che se la lamina (anodo) era collegata al polo positivo di una batteria di pile e se uno dei due terminali del filamento (catodo) era collegato al polo negativo, un milliamperometro, inserito nel circuito delle pile, segnava il passaggio di corrente.
Fu solo nel 1899 che il fisico Joseph John Thomson, lo scopritore dell’elettrone, dimostrò che il filamento incandescente emette cariche elettriche e precisamente elettroni, i quali, attratti dall’anodo, permettono il passaggio di corrente dal filamento alla lamina (placca).
Oggi il fenomeno è facilmente spiegabile: quando il filamento della lampada diventa incandescente per effetto Joule, l’aumento di temperatura determina un aumento dei livelli energetici degli elettroni liberi del metallo costituente il filamento; pertanto vengono raggiunti facilmente valori dei livelli energetici superiori alla barriera del potenziale di estrazione, per cui gli elettroni liberi fuoriescono dal metallo stesso, dirigendosi verso l’anodo, causando, in tal modo, la circolazione di una corrente elettrica.
La determinazione teorica della densità elettrica di questa corrente spetta al fisico Richardson che, applicando la statistica di Fermi-Dirac, giunse all’espressione:
j = A T2 e- W/kT
dove:- j - densità elettrica della corrente;
- A - costante caratteristica del metallo riscaldato;
- T - temperatura raggiunta dal metallo;
- W - lavoro di estrazione dell’elettrone dal metallo;
- k - costante di Boltzmann.
Nel 1904 il prof. Ambrose Fleming, consulente tecnico della Compagnia Marconi, inventò la prima valvola termoionica: il diodo. L’intento era quello di utilizzarl0 nelle stazioni riceventi radiotelegrafiche. Si trattava di un’ampolla di vetro, a vuoto molto spinto, contenente due elettrodi: il filamento, catodo, e una laminetta metallica, di forma cilindrica, avvolgente il filamento, denominata anodo o placca.
Il diodo rappresenta il primo componente elettronico passivo non lineare a due elettrodi (bipolo) in grado di condurre la corrente solo in un verso. Esso si prestava molto bene per la ricezione dei segnali radiotelegrafici in quanto tagliava la parte negativa, lasciando passare solo la parte positiva, la quale, causa l’alta frequenza, si fondeva in un’unica ondulazione, determinando una frequenza acustica e permettendo, così, l’ascolto in cuffia. Nasceva così la prima modulazione dei segnali.
L’avvento quasi contemporaneo, però, di altri semiconduttori, quali i detectors a cristallo, ne sconsigliò l’impiego nelle stazioni riceventi, in quanto con questi ultimi era ugualmente possibile la ricezione senza l’impiego di alcuna sorgente di elettricità, necessaria per il funzionamento del diodo.
Nel 1906 l’americano Lee De Forest metteva a punto una nuova valvola termoionica: il triodo. Egli posizionò tra il filamento e la placca un terzo elettrodo: la griglia, in pratica una spiralina metallica avvolgente il filamento. In tal modo,variando il potenziale della griglia era possibile variare la corrente di placca; non solo: perché l’inventore scoprì anche che a piccole variazioni del potenziale di griglia corrispondevano grandi variazioni della corrente di placca. In tal modo non solo era possibile ricevere un segnale radiotelegrafico, ma addirittura amplificarlo.
Il triodo rappresenta, perciò, il primo componente elettronico attivo, in quanto, mediante una fonte di energia esterna, permette di ottenere all’uscita un segnale amplificato, cioè di potenza maggiore.
Nell’anno 1927, per poter amplificare segnali ad alta frequenza, compare il tetrodo, ottenuto aggiungendo alla griglia di controllo del triodo una seconda griglia, denominata griglia schermo.
Subito dopo compare anche il pentodo, realizzato aggiungendo al tetrodo un’altra griglia: la cosiddetta griglia di soppressione, avente la funzione di ridurre l’emissione secondaria e quindi le conseguenti distorsioni e collegata al catodo all’interno della valvola stessa.
Oltre al pentodo, compariranno un gran numero di tipi di valvole multigriglie, ottenute aggiungendo sempre un maggior numero di griglie, per realizzare dispositivi più sofisticati e svariati (esodo, eptodo, ottodo e così via), quali ad esempio i convertitori di frequenza negli apparecchi a supereterodina.
I costruttori metteranno a punto anche valvole multiple, cioè con due valvole diverse disposte nella stessa ampolla di vetro: doppi diodi, doppi triodi, triodo e tetrodo e così via.
Come dimenticare, poi, il vecchio occhio magico, indicatore di sintonia negli apparecchi radio, il tubo catodico dei vecchi televisori ed ancora il magnetron, una valvola capace di produrre microonde e di erogare una notevole potenza rispetto alle sue ridotte dimensioni, utilizzata proprio nei forni a microonde.
La scoperta delle valvole aprì un orizzonte vastissimo nel campo delle telecomunicazioni, perché con questi tubi elettronici si potevano generare le onde elettromagnetiche, anche continue e quindi di maggiore potenza, captarle anche se di debole intensità, amplificare i loro segnali, rettificarli, effettuare modulazione di ampiezza e di frequenza; e tutto questo con estrema semplicità, sicurezza, stabilità di funzionamento e quindi grande affidabilità, a differenza dei vecchi apparati radiotelegrafici nei quali erano presenti dispositivi elettromagnetici e meccanici, non in grado di reggere il confronto.
Era iniziata l’era dell’elettronica cioè quell’era nella quale una minuscola particella elettrica, l’elettrone, invisibile ad occhio nudo, una volta generato e sapientemente incanalato dalla mente umana nei più svariati circuiti, avrebbe compiuto, con estrema rapidità e precisione tutti i percorsi necessari per conseguire i risultati scientifici programmati.
Le valvole termoioniche perfezionarono di gran lunga la radiotelegrafia, aprendo la strada alla radiotelefonia, al radiogoniometro, alla televisione, al radar, al calcolatore elettronico e a tanti altri dispositivi, dominando incontrastate la scena per tutta la metà, quasi, del novecento, fino all’avvento del transistor. Esse ancora oggi resistono nelle applicazioni dove è richiesta grande potenza, ma, soprattutto, nel cuore degli audiofili per l’elevata musicalità e morbidezza dei suoni che si sprigiona dagli amplificatori valvolari, a dispetto delle asprezze presenti nei moderni apparecchi digitali.
Marconi ne intuì subito l’importanza e non esitò, non solo ad utilizzarle nelle sue apparecchiature, ma, addirittura, a produrle nelle sue officine. Il suo yacht Elettra era dotato dei più svariati dispositivi, che impiegavano, nel complesso, centinaia di tubi elettronici.
Nessun commento:
Posta un commento